Teoria e azione nella dottrina marxista
(rapporto alla riunione di Roma del 1 aprile 1951)
( «Bollettino Interno», N° 1, 10
settembre 1951 )
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Sommario
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I. Il
rovesciamento della prassi nella teoria marxista
·
II. Partito
rivoluzionario e azione economica
·
Appendice:
o
Premessa
o
Tavola I - Schema della falsa teoria della «curva discendente» dello svolgimento
storico del capitalismo
o
Tavola II - Interpretazione schematica dell’avvicendamento dei regimi di classe nel
marxismo rivoluzionario
o
Differenza fra le
due concezioni
o
Schemi della diniamica
sociale secondo le ideologie della classe dominante:
o
Tavola III - Schema trascendentalista (autoritario)
o
Tavola IV - Schema demoliberale
o
Tavola V - Schema volontaristico-immediatistico
o
Tavola VI - Schema staliniano
o
Tavola VII - Schema fascista
o
Commenti alle tavole
III, IV, V, VI e VII
o
Tavola VIII - Schema marxista del capovolgimento della prassi
o
Commento alla tavola VIII
1. Alla situazione di dissesto dell’ideologia,
dell’organizzazione e dell’azione rivoluzionaria è falso rimedio fare
assegnamento sull’inevitabile progressiva discesa del capitalismo che sarebbe
già iniziata e in fondo alla quale attende la rivoluzione proletaria. La curva
del capitalismo non ha ramo discendente.
2. La seconda crisi storica internazionale opportunista
col crollo della Terza Internazionale risale all’intermedismo, per cui si sono
voluti porre scopi politici generali transitori tra la dittatura borghese e
quella proletaria. È nozione sbagliata quella che per evitare l’intermedismo rinuncia
alle rivendicazioni economiche particolari dei gruppi proletari.
3. La giusta prassi marxista afferma che la coscienza del
singolo e anche della massa segue l’azione, e che l’azione segue la spinta
dell’interesse economico Solo nel partito di classe la coscienza e, in date
fasi, la decisione di azione precede lo scontro di classe. Ma tale possibilità
è inseparabile organicamente dal gioco molecolare delle spinte iniziali fisiche
ed economiche.
4. Secondo tutte le tradizioni del marxismo e della
Sinistra italiana e internazionale, il lavoro e la lotta nel seno delle
associazioni economiche proletarie è una delle condizioni indispensabili per il
successo della lotta rivoluzionaria, insieme alla pressione delle forze
produttive contro i rapporti di produzione e alla giusta continuità teorica,
organizzativa e tattica del partito politico.
5. Se nelle varie fasi del corso borghese:
rivoluzionaria, riformista, antirivoluzionaria, la dinamica dell’azione
sindacale ha subito variazioni profonde (divieto, tolleranza, assoggettamento),
questo non toglie che è indispensabile organicamente avere tra la massa proletaria
e la minoranza inquadrata nel partito un altro strato di organizzazioni per
principio neutre politicamente ma costituzionalmente accessibili a soli operai,
e che organismi di questo genere devono risorgere nella fase di avvicinamento
della rivoluzione.
I. Il rovesciamento
della prassi nella teoria marxista
1.
Disordine ideologico nei molti gruppi
internazionali i quali condannano l’indirizzo stalinista e affermano di essere
sulla linea del marxismo rivoluzionario. Incertezza di tali gruppi su ciò che
essi chiamano analisi e prospettiva: svolgimento moderno della società
capitalistica; possibilità di ripresa della lotta rivoluzionaria del
proletariato.
2. Appare chiaro a tutti che l’interpretazione riformista
del marxismo è caduta con le grandi guerre, i grandi scontri interni ed il
totalitarismo borghese.
3. Frattanto, poiché all’inasprirsi della tensione
sociale e politica si accompagna non la potenza ma la totale degenerazione dei
partiti ex-rivoluzionari, sorge il quesito se non vi sia da fare una revisione
nella prospettiva marxista ed anche in quella leninista che poneva a sbocco
della prima guerra mondiale e della rivoluzione russa il divampare in tutto il
mondo della lotta proletaria per il potere.
4. Una teoria del tutto errata è quella della curva
discendente del capitalismo che porta a domandarsi falsamente come mai, mentre
il capitalismo declina, la rivoluzione non avanza. La teoria della curva
discendente paragona lo svolgersi storico ad una sinusoide: ogni regime, come
quello borghese, inizia una fase di salita, tocca un massimo, poi comincia a
declinare fino ad un minimo; dopo il quale un altro regime risale. Tale visione
è quella del riformismo gradualista: non vi sono sbalzi, scosse o salti (vedi:
Appendice, Tavola I).
5. La visione marxista può raffigurarsi (a fine di
chiarezza e brevità) in tanti rami di curve sempre ascendenti fino a quei
vertici (in geometria punti singolari o cuspidi) a cui segue una brusca caduta
quasi verticale; e dal basso un nuovo regime sociale, un altro ramo storico di
ascensione (vedi: Appendice, Tavola II).
6. Conformemente a questa, che è la sola visione
marxista, fin da un secolo sono perfettamente scontati tutti i fenomeni
dell’attuale fase imperialistica: in economia trusts, monopoli, dirigismo
statale, nazionalizzazione; in politica stretti regimi di polizia, strapotenza
militare, ecc.
7. Non meno chiara è la posizione per cui il partito
proletario non deve contrapporre rivendicazioni gradualiste e di ripristino e
rinascita delle forme liberali e tolleranti in questa moderna situazione.
L’errore opposto del movimento proletario e soprattutto
della Terza Internazionale ha determinato un mancato contrapporsi all’altissimo
potenziale capitalistico di una comparabile tensione rivoluzionaria.
La spiegazione di questo secondo crollo del movimento di
classe, più grave di quello del socialpatriottismo 1914, conduce alle difficili
questioni del rapporto tra spinte economiche e lotta rivoluzionaria, tra le
masse e il partito che deve guidarle.
8. Come sono da scartare le posizioni di quei gruppi che
svalutano il compito e la necessità del partito nella rivoluzione e ricadono in
posizioni operaiste o, peggio, hanno esitazioni sull’impiego del potere di
stato nella rivoluzione, così devono ritenersi fuori strada quelli che
considerano il partito come il raggruppamento degli elementi coscienti e non ne
scorgono i necessari legami con la lotta di classe fisica, ed il carattere di
prodotto della storia, come di suo fattore, che il partito presenta.
9. Tale questione conduce a ristabilire l’interpretazione
del determinismo marxista quale è stata costruita dalla prima enunciazione,
ponendo al loro posto il comportarsi del singolo individuo sotto l’azione degli
stimoli economici e la funzione dei corpi collettivi come la classe e il
partito.
10. Anche qui è utile delineare uno schema che spiega il marxistico rovesciamento della prassi. Nel singolo si va dal bisogno fisico all’interesse economico, all’azione quasi automatica per soddisfarla; soltanto dopo, ad atti di volontà ed all’estremo alla coscienza e conoscenza teorica. Nella classe sociale il processo è lo stesso: solo che si esaltano enormemente tutte le forze di direzione concomitante. Nel partito, mentre dal basso vi confluiscono tutte le influenze individuali e di classe, si forma dal loro apporto una possibilità e facoltà di visione critica e teorica e di volontà d’azione, che permette di trasfondere ai singoli militanti e proletari la spiegazione di situazioni e processi storici e anche le decisioni di azione e di combattimento (vedi: Appendice, Tavola VIII) (1).
11. Quindi, mentre il determinismo esclude per il singolo
possibilità di volontà e coscienza premesse all’azione, il rovesciamento della
prassi le ammette unicamente nel partito come il risultato di una generale
elaborazione storica. Se dunque vanno attribuite al partito volontà e
coscienza, deve negarsi che esso si formi dal concorso di coscienza e volontà
di individui di un gruppo; e che tale gruppo passa minimamente considerarsi al
di fuori delle determinanti fisiche, economiche e sociali in tutta l’estensione
della classe.
12. È quindi priva di senso la pretesa analisi secondo
cui vi sono tutte le condizioni rivoluzionarie ma manca una direzione
rivoluzionaria. È esatto dire che l’organo di direzione è indispensabile, ma il
suo sorgere dipende dalle stesse condizioni generali di lotta, mai dalla genialità
o dal valore di un capo o di una avanguardia.
Tale
chiarificazione di rapporti tra fatto economico-sociale e politico deve servire
di base ad illustrare il problema dei rapporti fra partito rivoluzionario e
azione economica e sindacale.
II. Partito rivoluzionario e
azione economica
Conviene
ricordare quale sia stato l’atteggiamento della Sinistra comunista italiana a
proposito delle questioni sindacali, passando quindi ad esaminare quanto vi e
di mutato nel campo sindacale dopo le guerre e i totalitarismi.
1.
Allorché il partito italiano non era stato ancora costituito, al secondo
Congresso dell’Internazionale del 1920,
furono dibattute due grandi questioni di tattica: azione parlamentare e azione
sindacale. Ora, i rappresentanti della corrente antielezionista si schierarono
contro la cosiddetta sinistra che propugnava la scissione sindacale e la
rinunzia a conquistare i sindacati diretti da opportunisti. Queste correnti in
fondo ponevano nel sindacato e non nel partito il centro dell’azione
rivoluzionaria e lo volevano puro da influenze borghesi (Tribunisti olandesi,
KAPD tedesco, Sindacalisti americani, scozzesi, ecc.).
2. La sinistra da allora combatté aspramente quei
movimenti analoghi a quello torinese de «L’Ordine Nuovo», che facevano
consistere il compito rivoluzionario nello svuotare i sindacati a vantaggio del
movimento dei consigli di fabbrica, intendendoli come trama degli organi
economici e statali della rivoluzione proletaria iniziata in pieno capitalismo,
confondendo gravemente fra i momenti e gli strumenti del processo
rivoluzionario.
3. Stanno su ben diverso piano le questioni parlamentare
e sindacale. È pacifico che il parlamento è l’organo dello Stato borghese in
cui si pretende siano rappresentate tutte le classi della società, e tutti i
marxisti rivoluzionari convengono che su di esso non si possa fondare altro
potere che quello della borghesia. La questione è se la utilizzazione dei mandati
parlamentari possa servire ai fini della propaganda e dell’agitazione per
l’insurrezione e la dittatura. Gli oppositori sostenevano che anche a questo
solo fine è producente di opposto effetto la partecipazione di nostri
rappresentanti in un organismo comune a quelli borghesi.
4. I sindacati, da chiunque diretti, essendo associazioni
economiche di professione, raccolgono sempre elementi di una medesima classe. È
ben possibile che gli organizzati proletari eleggano rappresentanti di tendenze
non solo moderate ma addirittura borghesi, e che la direzione del sindacato
cada sotto l’influenza capitalista. Resta tuttavia il fatto che i sindacati
sono composti esclusivamente di lavoratori e quindi non sarà mai possibile dire
di essi quello che si dice del parlamento, ossia che sono suscettibili solo di
una direzione borghese.
5. In Italia, prima della formazione del Partito
Comunista, i socialisti escludevano di lavorare nei sindacati bianchi dei
cattolici e in quelli gialli dei repubblicani. I comunisti poi, in presenza
della grande Confederazione diretta prevalentemente da riformisti e dell’Unione
Sindacale, diretta da anarchici, senza alcuna esitazione e unanimi stabilirono
di non fondare nuovi sindacati e lavorare per conquistare dall’interno quelli
ora detti, tendendo anzi alla loro unificazione. Nel campo internazionale, il
partito italiano unanime sostenne non solo il lavoro in tutti i sindacati
nazionali socialdemocratici, ma anche l’esistenza della Internazionale
Sindacale Rossa (Profintern), la quale riteneva ente non conquistabile la
Centrale di Amsterdam perché collegata alla borghese Società delle Nazioni
attraverso l’Ufficio Internazionale del Lavoro. La Sinistra italiana si oppose
violentemente alla proposta di liquidare il Profintern per costituire una
Internazionale Sindacale unica, sostenendo sempre il principio dell’unità e
della conquista interna per i sindacati e le confederazioni nazionali.
6. a) L’attività sindacale proletaria ha determinato una
molto diversa politica dei poteri borghesi nelle successive fasi storiche.
Poiché le prime borghesie rivoluzionarie vietarono ogni associazione economica
come tentativo di ricostituire le corporazioni illiberali del Medioevo, e
poiché ogni sciopero fu violentemente represso, tutti i primi moti sindacali presero
aspetti rivoluzionari. Fin da allora il «Manifesto» avvertiva che ogni
movimento economico e sociale conduce a un movimento politico e ha importanza
grandissima in quanto estende l’associazione e la coalizione proletaria, mentre
le sue conquiste puramente economiche sono precarie e non intaccano lo
sfruttamento di classe.
b) Nella successiva epoca, la borghesia avendo compreso
che le era indispensabile accettare che si ponesse la questione sociale,
appunto per scongiurare la soluzione rivoluzionaria tollerò e legalizzò i
sindacati riconoscendo la loro azione e le loro rivendicazioni; ciò in tutto il
periodo privo di guerre e relativamente di progressivo benessere che si svolse
sino al 1914.
Durante tutto questo periodo, il lavoro nei sindacati fu
elemento principalissimo per la formazione dei forti partiti socialisti operai
e fu palese che questi potevano determinare grandi movimenti soprattutto col
maneggio delle leve sindacali.
Il crollo della Seconda Internazionale dimostrò che la
borghesia si era procurata influenze decisive su una gran parte della classe
operaia attraverso i suoi rapporti e compromessi con i capi sindacali e
parlamentari, i quali quasi dappertutto dominavano l’apparato dei partiti.
c) Nella ripresa del movimento dopo la rivoluzione russa
e la fine della guerra imperialista, si trattò appunto di fare il bilancio del
disastroso fallimento dell’inquadratura sindacale e politica, e si tentò di
portare il proletariato mondiale sul terreno rivoluzionario eliminando con le
scissioni dei partiti i capi politici e parlamentari traditori, e procurando
che i nuovi partiti comunisti nelle file delle più larghe organizzazioni
proletarie pervenissero a buttare fuori gli agenti della borghesia. Dinanzi ai
primi vigorosi successi in molti paesi, il capitalismo si trovò nella
necessità, per impedire l’avanzata rivoluzionaria, di colpire con la violenza e
porre fuori legge non solo i partiti ma anche i sindacati in cui questi
lavoravano. Tuttavia, nelle complesse vicende di questi totalitarismi borghesi,
non fu mai adottata l’abolizione del movimento sindacale. All’opposto, fu
propugnata e realizzata la costituzione di una nuova rete sindacale pienamente
controllata dal partito controrivoluzionario, e, nell’una o nell’altra forma,
affermata unica e unitaria, e resa strettamente aderente all’ingranaggio
amministrativo e statale.
Anche dove, dopo la seconda guerra, per la formulazione
politica corrente, il totalitarismo capitalista sembra essere stato rimpiazzato
dal liberalismo democratico, la dinamica sindacale seguita ininterrottamente a
svolgersi nel pieno senso del controllo statale e della inserzione negli
organismi amministrativi ufficiali. Il fascismo, realizzatore dialettico delle
vecchie istanze riformiste, ha svolto quella del riconoscimento giuridico del
sindacato in modo che potesse essere titolare di contratti collettivi col
padronato fino all’effettivo imprigionamento di tutto l’inquadramento sindacale
nelle articolazioni del potere borghese di classe.
Questo risultato è fondamentale per la difesa e la
conservazione del regime capitalista appunto perché l’influenza e l’impiego di
inquadrature associazioniste sindacali è stadio indispensabile per ogni
movimento rivoluzionario diretto dal partito comunista.
7. Queste radicali modificazioni del rapporto sindacale
ovviamente non risalgono solo alla strategia politica delle classi in contrasto
e dei loro partiti e governi, ma sono anche in rapporto profondo al mutato
carattere della relazione economica che passa fra datore di lavoro e operaio
salariato. Nelle prime lotte sindacali, con cui i lavoratori cercavano di
opporre al monopolio dei mezzi di produzione quello della forza di lavoro,
l’asprezza del contrasto derivava dal fatto che il proletariato, spogliato da
tempo di ogni riserva di consumo, non aveva assolutamente altra risorsa che il
quotidiano salario, ed ogni lotta contingente lo conduceva ad un conflitto per
la vita e per la morte.
È indubitabile che mentre la teoria marxista della
crescente miseria si conferma per il continuo aumento numerico dei puri
proletari e per l’incalzante espropriazione delle ultime riserve di strati
sociali proletari e medi, centuplicata da guerre, distruzioni, inflazione
monetaria, ecc., e mentre in molti paesi raggiunge cifre enormi la
disoccupazione e lo stesso massacro dei proletari; laddove la produzione
industriale fiorisce, per gli operai occupati tutta la gamma delle misure
riformiste di assistenza e previdenza per il salariato crea un nuovo tipo di
riserva economica che rappresenta una piccola garanzia patrimoniale da perdere,
in certo senso analoga a quella dell’artigiano e del piccolo contadino; il
salariato ha dunque qualche cosa da rischiare, e questo (fenomeno d’altra parte
già visto da Marx, Engels e Lenin per le cosiddette aristocrazie operaie) lo rende
esitante ed anche opportunista al momento della lotta sindacale e peggio dello
sciopero e della rivolta.
8. Al di sopra del problema contingente in questo o quel
paese di partecipare al lavoro in dati tipi di sindacato ovvero di tenersene
fuori da parte del partito comunista rivoluzionario, gli elementi della
questione fin qui riassunta conducono alla conclusione che in ogni prospettiva
di ogni movimento rivoluzionario generale non possono non essere presenti
questi fondamentali fattori
1) un ampio e numeroso proletariato di puri salariati;
2) un grande movimento di associazioni a contenuto
economico che comprenda una imponente parte del proletariato;
3) un forte partito di classe, rivoluzionario, nel quale
militi una minoranza dei lavoratori ma al quale lo svolgimento della lotta
abbia consentito di contrapporre validamente ed estesamente la propria
influenza nel movimento sindacale a quella della classe e del potere borghese.
I fattori che hanno condotto a stabilire la necessità di
ciascuna e di tutte queste tre condizioni, dalla utile combinazione delle quali
dipenderà l’esito della lotta, sono stati dati: dalla giusta impostazione della
teoria del materialismo storico che collega il primitivo bisogno economico del
singolo alla dinamica delle grandi rivoluzioni sociali; dalla giusta
prospettiva della rivoluzione proletaria in rapporto ai problemi dell’economia
e della politica e dello Stato; dagli insegnamenti della storia di tutti i
movimenti associativi della classe operaia cosi nel loro grandeggiare e nelle
loro vittorie che nei corrompimenti e nelle disfatte.
Le linee generali della svolta prospettiva non escludono
che si possano avere le congiunture più svariate nel modificarsi, dissolversi,
ricostituirsi di associazioni a tipo sindacale; di tutte quelle associazioni
che ci si presentano nei vari paesi sia collegate alle organizzazioni
tradizionali che dichiaravano fondarsi sul metodo della lotta di classe, sia
più o meno collegate ai più diversi metodi e indirizzi sociali anche
conservatori.
Appendice
Alla Riunione di Roma del 1° aprile 1951 la relazione sul
tema Il rovesciamento della prassi nella teoria marxista fu completata con la
presentazione ed il commento di otto tavole delle quali, per ragioni connesse
con le difficoltà e le strettoie in cui versava allora il Partito, solo tre
(tavole I, II e VIII) videro la luce nel «Bollettino interno», n.1 del 10
settembre 1951, nell’apposita Appendice. Ognuna delle tre tavole fu corredata
di un breve, ma sufficiente commento che andava a fondersi con quanto già detto
in sede di relazione scritta.
Nell’attuale Appendice sono state inserite per la prima
volta le altre cinque tavole (III, IV, V, VI e VII) alle quali si è fatto
seguire, senza alterare l’equilibrio complessivo, un unico commento che si
discosta di poco da una lettura dei cinque schemi, secondo lo spirito che
informò la stesura degli altri tre commenti.
Le considerazioni che seguono valgano per una più incisiva utilizzazione di dette cinque tavole che espongono la raffigurazione della dinamica sociale giusta le fondamentali ideologie con cui il movimento rivoluzionario del proletariato ha fatto i conti in via definitiva sul piano teorico e che deve purtroppo farli ancora sul piano delle lotta pratica.
Scrivono Marx ed Engels ne L’ideologia tedesca, 1846, I, A:
«La coscienza non può mai essere qualche cosa di diverso dall’essere cosciente, e l’essere degli uomini è il processo reale della loro vita. Se nell’intera ideologia gli uomini e i loro rapporti appaiono capovolti come in una camera oscura, questo fenomeno deriva dal processo storico della loro vita, proprio come il capovolgimento degli oggetti sulla retina deriva dal loro immediato processo fisico. Esattamente all’opposto di quanto accade nella filosofia tedesca, che discende dal cielo sulla terra, qui si sale dalla terra al cielo. Cioè non si parte da ciò che gli uomini dicono, si immaginano, si rappresentano, né da ciò che si dice, si pensa, si immagina, si rappresenta che siano, per arrivare da qui agli uomini vivi; ma si parte dagli uomini realmente operanti e sulla base del processo reale della loro vita si spiega anche lo sviluppo dei riflessi e degli echi ideologici di questo processo di vita. Anche le immagini nebulose che si formano nel cervello dell’uomo sono necessarie sublimazioni del processo materiale della loro vita, empiricamente constatabile e legato a presupposti materiali. Di conseguenza la morale, la religione, la metafisica e ogni altra forma ideologica, e le forme di coscienza che ad esse corrispondono, non conservano oltre la parvenza dell’autonomia. Esse non hanno storia, non hanno sviluppo, ma gli uomini che sviluppano la loro produzione materiale e le loro relazioni materiali trasformano, insieme con questa loro realtà, anche il loro pensiero e i prodotti del loro pensiero. Non è la coscienza che determina la vita, ma la vita che determina la coscienza. Nel primo modo di giudicare si parte dalla coscienza come individuo vivente; nel secondo, che corrisponde alla vita reale, si parte dagli stessi individui reali viventi e si considera la coscienza soltanto come la loro coscienza. Questo modo di giudicare non è privo di presupposti. Esso muove dai presupposti reali e non se ne sposta per un solo istante. I suoi presupposti sono gli uomini, non in qualche modo isolati e fissati fantasticamente, ma nel loro processo di sviluppo, reale ed empiricamente constatabile, sotto condizioni determinate. Non appena viene rappresentato questo processo di vita attiva, la storia cessa di essere una raccolta di fatti morti, come negli empiristi che sono anch’essi astratti, o una azione immaginaria di soggetti immaginari, come negli idealisti».
II materialismo storico-dialettico, contrapponendosi alle
concezione di stampo illuministico ed idealistico, non vede quindi
nell’ideologia, cioè nella rappresentazione mistificata e capovolta dei
rapporti reali, il frutto di un errore da correggere per aprire gli occhi ai
ciechi, ma la risultanza indispensabile di un processo reale corrispondente a
rapporti; materiali, quelli stessi che l’ideologia proietta nella sua
distorsione. Tale distorsione deriva a sua volta necessariamente dalla
situazione storica delle forze sociali che nell’ideologia si esprimono e che la
impongono all’insieme sociale, essendo sempre ideologia dominante quella della
classe dominante. La concezione marxisti respinge parimenti l’idea
illuministica del «cosciente inganno» dei capi-ideologi (gli «astuti
sacerdoti»), giacché la stessa rappresentazione dell’ideologia -
necessariamente fantastica perché sublimazione di uno stato di cose
storicamente caduco - si impone appunto come programma e sovrastruttura
necessaria di fattori e trapassi sociali necessari. Cosi per esempio
l’ideologia borghese si fonda sull’effettiva conquistata libertà dei lavoratori
dai vincoli giuridici e microproprietari feudali: né la borghesia può
ripudiarla, perché con ciò ripudierebbe se stessa.
Ma come il ruolo delle classi, cosi quello dell’ideologia
subisce la dialettica trasformazione antiformismo-riformismo-conformismo
illustrata nel nostro Tracciato d’impostazione. Unica classe (ed ultima), il
proletariato ha il ruolo storico di eliminare se stesso con tutte le altre
classi. La sua non è pertanto ideologia che possa assumere carattere
riformistico e conformistico, dando luogo ad una fissazione sovrastorica del
suo dominio - ma scienza rivoluzionaria ed anzi già scienza di specie, non solo
perché il proletariato (come in passato altre classi) rappresenta l’avvenire,
ma perché questo avvenire non potrà non dar luogo ad una società di specie,
priva di classi e dei relativi conflitti - salto di qualità dalla preistoria
classista alla piena storia umana.
La contrapposizione del marxismo alle ideologie che si
sono succedute nel passato e che oggi ancora in varia misura tengono il campo
è, quindi, rigorosamente storica e dialettica, il che non esclude, ed al
contrario implica, che la scienza globale con cui esso si identifica, possa
essa solo ricostruire i reali processi sottostanti all’incastellatura
ideologica, svelando come l’ideologia mistifichi la realtà sussistente a
prescindere da ogni «conoscenza» individuale e collettiva. Detto questo molto
sommariamente, passiamo ad illustrare il senso ed il corretto modo di impiego
dei cinque schemi.
Schema della falsa teoria della «curva
discendente» dello svolgimento storico del capitalismo
L’abituale affermazione che
il capitalismo è nel ramo discendente e non può risalire contiene due errori:
quello fatalista e quello gradualista.
Il primo
è l’illusione che, finito il capitalismo di scendete, il socialismo verrà di
per sé, senza agitazioni, lotte e scontri armati, senza preparazione di
partito.
Il
secondo, espresso dal fatto che la direzione del movimento si flette insensibilmente,
equivale ad ammettere che elementi di socialismo compenetrino progressivamente
il tessuto capitalistico.
Tavola II
Interpretazione schematica dell’avvicendamento dei regimi di classe nel
marxismo rivoluzionario
Marx non
ha prospettato un salire e poi un declinare del capitalismo, ma invece il
contemporaneo e dialettico esaltarsi della massa di forze produttive che il
capitalismo controlla, della loro accumulazione e concentrazione illimitata, e
al tempo stesso della reazione antagonistica, costituita da quella delle forze
dominate che è la classe proletaria. Il potenziale produttivo ed economico
generale sale sempre finché l’equilibrio non è rotto, e si ha una fase
esplosiva rivoluzionaria, nella quale in un brevissimo periodo precipitoso, col
rompersi delle forme di produzione antiche, le forze di produzione ricadono per
darsi un nuovo assetto e riprendere una più potente ascesa.
DIFFERENZA FRA LE
DUE CONCEZIONI
La
differenza fra le due concezioni, di cui alle tavole I e II, nel linguaggio dei geometri si esprime
così: la prima curva o curva degli opportunisti (revisionisti tipo Bernstein,
stalinisti emulativisti, intellettuali rivoluzionari pseudomarxisti) è una
curva continua che in tutti i punti «ammette una tangente», ossia praticamente
procede per variazioni impercettibili di intensità e di direzione. La seconda
curva, con cui si è voluta dare una immagine semplicatrice della tanto
deprecata «teoria delle catastrofi», presenta ad ogni epoca delle punte che in
geometria si chiamano «cuspidi» o «punti singolari». In tali punti la
continuità geometrica, e dunque la gradualità storica, sparisce, la curva «non
ha tangente» o, anche, «ammette tutte le tangenti» - come nella settimana che
Lenin non volle lasciar passare.
Occorre
appena notare che il senso generale ascendente non vuole legarsi a visioni
idealistiche sull’indefinito progresso umano, ma al dato storico del continuo
ingigantirsi della massa materiale delle forze produttive, nel succedersi delle
grandi crisi storiche rivoluzionarie.
SCHEMI DELLA
DINAMICA SOCIALE SECONDO LE IDEOLOGIE DELLA CLASSE DOMINANTE
Sono
riprodotti qui di seguito gli schemi di raffigurazione della dinamica sociale
giusta le fondamentali ideologie con cui il movimento rivoluzionario del
proletariato ha dovuto e deve, su piani diversi, fare i conti (secondo quanto
esposto nella Premessa), per poi contrapporre ad essi lo schema marxista del
capovolgimento della prassi.
Schema
trascendentalista (autoritario)
Tipico delle religioni rivelate, del feudalesimo e
dell’assolutismo teocratico; fatto proprio anche dalla moderna società
capitalistica. Questa concezione fa appello ad una divinità che nell’atto
stesso della creazione ha infuso negli uomini uno spirito, che, ritrovandosi in
ogni singolo, assicura l’uguaglianza «davanti a Dio» - e quindi per lo meno nel
mondo ultraterreno - e garantisce un comportamento ispirato a comuni principi
di origine divina. Lo Stato a sua volta, controllando coscienza ed attività dei
singoli, permette l’esplicarsi della vita spirituale e fisica nel suo ordine
gerarchico, che rispecchia il piano «divino» rivelato nelle sacre scritture.
Schema demoliberale
Comune ad espressioni ideologiche assai differenziate
quali l’illuminismo con le sue varie sfumature (empirismo, sensismo,
materialismo meccanicistico), il criticismo kantiano, l’idealismo oggettivo e
dialettico di Hegel, il positivismo, il neoidealismo, l’immediatismo libertario
(Stirner, Bakunin) e riformistico. Si tratta della più pura assolutizzazione
del «principio democratico», basato sull’Io, che, sia come singolo individuo,
sia come «spirito di popolo», «volontà collettiva», ecc., possiede in sé, nel
suo profondo, le norme del suo comportamento (ciò può condurre, come negli
anarchici, a negare lo Stato, come non-rappresentativo della volontà
collettiva, ed a sostituirlo con la «opinione sociale» o simili astrazioni che
hanno la stessa funzione dello Stato «etico» nel pensiero borghese classico, di
cui sono, d’altra parte, dirette filiazioni). Vita etica, vita economica,
volontà di agire nell’ambiente esterno, sono l’esplicazione delle forze di
coscienza e razionalità proprie allo «spirito umano» presente in tutti i
singoli («uguaglianza di fronte alla legge»). Lo Stato, e l’organizzazione sociale
in genere, e quindi concepito quale proiezione ed al contempo quale garanzia
della libertà dei singoli, «è la realtà etica dell’Idea».
Schema
volontaristico-immediatistico
Tipico della visione corporativa piccolo-borghese, quindi
di forme opportunistiche (proudhonismo, anarcosindacalismo, operaismo,
ordinovismo, socialismo dei Consigli) e riformistiche (laburismo, ecc.);
evidentemente si inserisce entro la concezione liberale di cui rappresenta una
variante. Qui l’individuo, sempre alla base del processo, prende coscienza
delle spinte fisiche ed economiche che sono sostrato della sua esistenza : tale
presa di coscienza condiziona la volontà, e questa a sua volta l’azione.
L’organizzazione economica e politica risulta dal confluire delle singole prese
di coscienza: la classe è a sua volta risultato dell’assommarsi e connettersi
in rete di organizzazioni immediate (è quindi nozione avulsa da ogni senso di
indirizzo storico - non mai di classe in sé e per sé nel senso marxistico della
espressione).
Schema
staliniano
Schema dell’ideologia conseguente alla controrivoluzione
staliniana. Anche per essa è il singolo individuo che giunge alla coscienza, dopo
però che la sua azione è stata determinata da libera «scelta», decisione.
Caratteristica l’assimilazione partito-Stato: ma poiché le spinte e gli
interessi economici pervengono, dal singolo attraverso la classe, allo
Stato-partito e sono utilizzati da questo pseudo «binomio» per i compiti di
decisione e di guida al fine di determinare orientamenti pratici ed indirizzi
teorici, è chiaro che di fatto nel «binomio» il partito vien meno, e sussiste
solo a «giustificazione dello Stato».
Schema
fascista
Il fascismo è per
definizione eclettico, non ha una dottrina propria, tuttavia esprime
ideologicamente il suo ruolo di unificazione delle forze capitalistiche
(imperialistiche), di realizzazione del programma riformista, e di
mobilitazione delle «mezze classi» in una concezione non a caso analoga a
quello dello stalinismo. Come lo stalinismo, il fascismo non può abbandonare
alcuni postulati ideologici borghesi essenziali, quali l’equivalenza giuridica
degli individui, la «volontà del popolo», il carattere «popolare» del suo
dominio. Al soggetto individuo come punto di partenza è però sostituita la
«nazione», il «popolo» ed anche la «razza», che recepisce le motivazioni
fisiche in prima istanza (vedasi la concezione nazional-socialistica del
«sangue e suolo») e si esprime nello Stato. Il singolo è concepito come
«passivo recettore» di spinte etiche dal popolo-nazione, di impulsi
volontaristici ed attivistici dallo Stato-partito.
COMMENTI ALLE
TAVOLE III, IV, V, VI e VII
Le
Tavole III e IV (come pure le Tavole V, VI e VII) sono presentate insieme in
quanto, pur nella loro diversità, si riconducono a comuni denominatori.
Per gli
schemi trascendentalista e demoliberale, pur andando nell’uno il senso
dell’autorità dallo stato verso il singolo, mentre nell’altro il senso della
libertà va dal singolo alla società e allo stato, per entrambi è l’idea
(nell’uno promanante dalla divintà, nell’altro diffusa in tutti i singoli
componenti la collettività umana) che condiziona e determina le azioni umane.
In entrambi si va logicamente dalla coscienza (intesa nel primo come fede, nel
secondo come razionalità) alla volontà (per entrambi intesa come eticità),
all’attività, economia e vita fisica.
Per gli
schemi volontaristico-immediatista, staliniano e fascista le spinte fisiche ed
economiche sono alla base della loro costruzione; ed in questo carattere comune
si contrappongono ai due precedenti schemi idealistici. Ma hanno in comune con
essi la precedenza e preminenza che la volontà ha sull’attività per quanto
riguarda il singolo e la classe (per il fascismo il popolo o la nazione). Altro
carattere comune a questi tre schemi volontaristici (quello condiviso da
Proudhon, Sorel, Bernstein, Gramsci, ecc. anche individualistico; e in ciò è
deteriore rispetto agli altri due): la successione parallela di spinte
economiche, volontà, attività e coscienza che si riscontra tra il partito e lo
stato (l’organizzazione immediata) da una parte e il singolo e la classe (il
popolo o la nazione per il fascismo) dall’altra, che comporta l’impossibilità
per il partito di una teoria scientifica dei fenomeni sociali.
Solo
nello schema marxista la successione di attività volontà e coscienza del
singolo e della classe trovasi completamente rovesciata nel partito, la cui
conoscenza dei fatti sociali investe passato presente e futuro, elevandosi al
livello di teoria scientifica, con possibilità quindi di esercitare una volontà
ed un’azione, come è mostrato nella seguente Tavola VIII.
Tavola VIII
Schema marxista del capovolgimento della
prassi
COMMENTO ALLA
TAVOLA VIII
Lo scopo
dello schema è soltanto di semplificare i concetti del determinismo economico.
Nel singolo individuo (e quindi anche nel singolo proletario) non è la
coscienza teorica a determinare la volontà di agire sull’ambiente esterno, ma
avviene l’opposto, come mostra lo schema con frecce dirette dal basso verso
l’alto: la spinta del bisogno fisico determina, attraverso l’interesse
economico, un’azione non cosciente, e solo molto dopo l’azione ne avviene la
critica e la teoria per intervento di altri fattori.
L’insieme
dei singoli, posti nelle stesse condizioni economiche, si comporta analogamente
(come mostra lo schema con frecce dirette dal basso verso l’alto), ma la
concomitanza di stimoli e di reazioni crea la premessa per una più chiara
volontà e poi coscienza. Queste si precisano soltanto nel partito di classe,
che raccoglie una parte dei componenti di questa ma elabora, analizza e
potenzia l’esperienza vastissima di tutte le spinte, stimoli e reazioni. È solo
il partito che riesce a capovolgere il senso della prassi. Esso possiede una
teoria ed ha quindi conoscenza dello sviluppo degli eventi: entro dati limiti,
secondo le situazioni e i rapporti di forza, il partito può esercitare
decisioni ed iniziative e influire sull’andamento della lotta (come mostra lo
schema con frecce dirette dall’alto verso il basso).
Con
frecce dirette da sinistra a destra si sono volute rappresentare le influenze
dell’ordine tradizionale (forme di produzione); e con frecce dirette da destra
a sinistra le influenze antagonistiche rivoluzionarie.
Il rapporto dialettico
sta nel fatto che in tanto il partito rivoluzionario è un fattore cosciente e
volontario degli eventi, in quanto è anche un risultato di essi e del conflitto
che essi contengono fra antiche forme di produzione e nuove forze produttive.
Tale funzione teorica ed attiva del partito cadrebbe però se si troncassero i
suoi legami materiali con l’apporto dell’ambiente sociale, della primordiale,
materiale e fisica lotta di classe.
(1) In Appendice, alla Tavola VIII fanno da premessa altre cinque tavole che comprendono gli schemi di concezioni in netta antitesi con il marxismo (Tavole III e IV) o, peggio, aberranti rispetto al marxismo per l’equivoca pretesa di richiamarsi non a tutti, ma solo ad una parte od a qualcuno dei suoi postulati di base (Tavole V, VI e VII).
Partito comunista internazionale
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